L'emigrazione in Italia, in Europa e nei Paesi Extra Europei
Tratto da "Così lotanani...così vicini" - Comunità Montana Vallo di Diano - Aprile 2007
La ricerca sul campo effettuata attraverso il reperimento di tutti i dati che riguardano l'emigrazione del Vallo di Diano, ha interessato l'analisi di più elementi costitutivi; e si presenta come un excursus metodologico in riferimento alle cause storiche del fenomeno emigratorio -in Italia, in Europa e nei Paesi Extra Europei.
L’emigrazione in Italia
Il lavoro, inteso come mezzo di espressione e di sviluppo della personalità dell'uomo, non può, né deve essere doloroso, fastidioso, mortificante: se lo è esistono senza dubbio strutture da modificare in quanto sistemi antiquati e regressivi fanno sì che l'uomo si senta null'altro che una bestia da soma, in un sistema massacrante,in una attività lavorativa che non gli procura né la gioia di essere se stesso nella creazione di qualcosa, né la gioia di ricavare dal suo sacrificio il corrispettivo necessario per vivere da uomo.
Alla base di tutto c'è, quindi, la necessità vitale di esprimere se stessi, di realizzare la propria personalità.
Di fronte a tale constatazione ci sono allora due possibilità: accettare la situazione con rassegnazione, cercando di evitare danni maggiori, o sotto la spinta di tante situazioni avverse che non portano ad un rinnovamento delle condizioni socio-economiche, reagire e, non trovando altra soluzione, emigrare. Così gruppi massicci di lavoratori, spinti dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, prendono valigie di cartone legate con corde o grossi rudimentali bauli o ancora bisacce cucite per questa evenienza e partono tra le lacrime amare di chi rimane e di chi va in cerca di fortuna in terre lontane.
Vista in questa prospettiva l'emigrazione non viene considerata come lo spostamento verso luoghi in cui si lavora e si vive meglio, bensì la fuga da luoghi ove non si lavora e non si vive affatto, dove l'esistenza è rappresentata da un vegetare miserabile e degradante, dove la mancanza di ricchezza data dalla scarsità di produzione non potrà certo essere compensata dalle “rimesse” degli emigranti,”rimesse” che fra l'altro sono destinate alle spese primarie delle famiglie rimaste o al piccolo risparmio casalingo.
Alla fine degli anni 50' si assiste ad una ondata migratoria che da un territorio emarginato, come poteva essere quello del Mezzogiorno, si passa ad un altro, come quello del cosiddetto triangolo industriale, Liguria - Piemonte - Lombardia, dove lo sviluppo industriale, con il suo potenziale attrattivo e le sue straordinarie trasformazioni di modelli di vita urbana, garantisce una adeguata condizione economica.
L’emigrazione fu favorita dalla crisi del settore agricolo e dalla volontà dei contadini di emanciparsi dalla soggezione del proprietario: il malumore e la rabbia, scaturite da maltrattamenti e dall'asservimento ai voleri dei padroni e anche a quelli dello Stato, ha fatto sì che molti lasciassero il lavoro dei campi, durissimo e poco remunerativo, per andare alla ricerca di condizioni di vita migliori e sottraendosi così, alla miseria e alle prepotenze che si era costretti a subire da più parti.
Poiché la maggioranza degli emigrati proveniva dalla terra, molti storici, tra i quali Giovanni Florenzano, consideravano l'emigrazione come “la perdita di numerose forze giovanili per l'agricoltura”, lamentandosi perché quei contadini che consideravano “la base e la forza della ricchezza nazionale, proprio essi abbandonavano il terreno della patria, mentre questa aveva bisogno delle loro mani incallite”.
Un'altra ragione a favore dell'emigrazione in Italia fu l'incapacità da parte dei meridionali di investire in loco. Infatti mentre al Nord si investiva il denaro in attività produttive come la creazione di nuove industrie e nuove possibilità di occupazione, nel Mezzogiorno chi riusciva in qualche modo a mettere da parte un po' di danaro finiva per depositarlo presso l'ufficio postale più vicino. Questo denaro però, attraverso la Cassa depositi e prestiti, nonché altri istituti di credito, finiva al Nord, che con l'investimento dei risparmi depositati dalla gente del Sud, acquistava sempre nuovo vigore e sicurezza, mentre al Sud crescevano la disoccupazione, l'usura e la delinquenza.
Si deve ammettere che il fenomeno delle grandi emigrazioni nel triangolo industriale, ha trasformato non poco i rapporti interpersonali e le condizioni psico sociali di molte famiglie meridionali.
Oggi nonostante la situazione occupazionale risulta sempre più grave, la propensione ad emigrare, in particolare dei giovani, è sempre più bassa e decisamente lontana dal livello di un tempo.
Una delle principali argomentazioni portate a sostegno di questa tesi è che, essendo questi giovani così poco o per nulla disponibili ad emigrare per cercare lavoro, essi sono alla ricerca di lavori sicuri e stabili, con salari elevati e con alle spalle famiglie disposte a sostenerli, anche perché questi giovani non considerano più il lavoro il valore centrale della propria vita.
C'è da aggiungere che a fronte della crescita dei tassi di disoccupazione nel Mezzogiorno, sono cresciuti negli anni anche i costi di produzione e di vita nelle città del Nord, un tempo meta degli emigrati meridionali.
Mentre in passato si poteva aspirare con l'emigrazione ad una collocazione nelle grandi fabbriche ad un alloggio decente, ad un sistema di prosperità nel quale sostenersi, oggi, invece, le capacità di attrazione delle regioni del Nord d'Italia sembrano decisamente più ridotte di un tempo: la disoccupazione colpisce anche il Nord del paese, anche se in misura decisamente inferiore al Mezzogiorno e questo prospetta un destino di diminuzione delle garanzie del posto di lavoro di vita, un aumento del costo degli alloggi, una difficoltà di trovare casa, determinando così delle condizioni che non sembrano più configurare l'emigrazione come una soluzione perfetta.
L'Emigrazione in Europa
Nel periodo a cavallo delle due guerre, il fenomeno emigratorio subisce un colpo gravissimo, una drastica svolta che si verifica quando per la prima volta, dopo un secolo di costante e massiccio aumento, le migrazioni verso le Americhe diminuiscono rapidamente, fino a diventare un fenomeno limitato e trascurabile.
Gli Stati Uniti che avevano accolto, più di ogni altro paese un gran numero di emigranti, chiudono le porte, lasciando solo un debole spiraglio. Limitato lo sbocco americano e prevalendo l'incapacità delle classi politiche e imprenditoriali a sviluppare una economia ad ampio respiro, il flusso migratorio estero riprende verso alcuni paesi europei, paesi che avevano saputo impostare su basi più avanzate e meno grette, la loro economia.
All'inizio sono in gran maggioranza settentrionali coloro che vollero e poterono adottare questa soluzione per i loro problemi: basti pensare che in Francia si stabilirono quasi esclusivamente piemontesi e veneti, spesso piccoli proprietari che vendevano in patria ogni loro bene per acquistare terre nella Francia meridionale o per diventarvi coloni o mezzadri.
E così l'Italia dei contadini, dei poveri diavoli con mezzo ettaro di terra, dei braccianti e dei piccoli proprietari, quell'Italia che da decenni conosceva nell'emigrazione un'alternativa ai propri mali, non scompare solo perché gli Stati Uniti, hanno sbarrato loro le porte, ma ancora una volta, non rassegnandosi ad una misera esistenza nel proprio paese, tenta la fortuna altrove.
Senza dubbio le condizioni del proletariato agricolo e del bracciantato del Mezzogiorno erano di gran lunga peggiori di quelle del Nord e questo prevalere di emigrazioni settentrionali si spiega con l'isolamento, la scarsa viabilità e l'ignoranza delle popolazioni meridionali oltre che, al tradizionale amore per la terra e la casa, alle minori necessità economiche derivanti da una vita esclusivamente agricola e patriarcale e alla minore densità degli abitanti.
Il flusso migratorio europeo precluso dapprima alla popolazione meridionale, in quanto la Francia, la Svizzera e la Germania richiedevano una mano d'opera intelligente, relativamente colta e specializzata, qualità tutte che in tale periodo mancavano completamente ai miseri contadini del Sud, per lo più analfabeti, a poco a poco si generalizza e a partire dal 1950 vede aumentare sempre più la popolazione meridionale.
Per quanto riguarda il Vallo di Diano, il flusso migratorio si dirige prevalentemente verso la Svizzera e la Germania: tratto distintivo di questa emigrazione è il carattere prevalentemente stagionale e quasi esclusivamente maschile. Infatti ai contadini e ai braccianti del Vallo che emigrano, la terra nativa non appare del tutto avversa ad ogni speranza di progresso e di miglioramento, ed essi si dirigono in gran maggioranza verso i paesi europei con la certezza di poter tornare, dopo un certo periodo, a riprendere miglior vita nel loro paese.
Non si può dire che questi emigrati andassero a cercare lavoro o fortuna, perché in genere sapevano già quale lavoro avrebbero fatto e anche quanto avrebbero potuto guadagnare e risparmiare, andavano quindi ad occupare un posto di lavoro. In questo senso i figli o meglio i nipoti dei vecchi emigranti, avevano imparato a sfruttare meglio le opportunità loro offerte e andavano a lavorare solo all'occorrenza, non abbandonando le case e non patendo più gli innumerevoli disagi che erano toccati ai loro avi. Certamente non era tutto così semplice, infatti molto spesso essi non conoscendo la reale situazione e i problemi sociali delle zone di destinazione, pensavano che la riuscita di un fratello o di un compaesano implicasse anche la loro, e quindi alla nostalgia si sostituiva la consapevolezza di una diversità e di un disadattamento.
Da ciò si evince che la formazione di un emigrante deve estendersi a tutti i campi, con particolare riguardo alla sua promozione sociale, fornendo al lavoratore la possibilità di usufruire di un tipo di assistenza e di preparazione che non si interessi solo del suo “avere” ma anche del suo essere, vale a dire della sua persona e della sua dignità che non è legata solo a condizioni materiali.
In stretta correlazione, quindi, con il diritto di emigrare è il dovere da parte degli organi competenti di attuare politiche valide in modo da contenere la fuga soprattutto di giovani dal territorio del Vallo di Diano.
L'Emigrazione nei Paesi Extra Europei
L'emigrazione italiana all'estero costituisce un fenomeno complesso e di vaste proporzioni, malgrado l'Italia sia divenuta ora terra d'immigrazione: moltissimi furono gli abitanti del Vallo di Diano che lasciarono il paese d'origine per raggiungere il grande “sogno americano”, il mezzo per dare un calcio alla povertà che affliggeva da sempre l'intero Mezzogiorno.
I primi espatri si verificano già dopo il terribile terremoto del 1857, ma l'esodo di massa inizia dopo l'unificazione d'Italia e le principali correnti migratorie portano gli emigranti del Vallo verso l'Argentina, il Brasile, l'Uruguay, il Paraguay e gli Stati Uniti.
Le cause molteplici, ma quelle di maggior peso, sono senza dubbio, la miseria, l'inadeguatezza dei salari, la precarietà dell'occupazione e l'eccessivo peso fiscale.
Si viveva nella convinzione di far fortuna altrove, ma a giudicare dall'immagine di macilenza e di squallore offerta dai più, si capiva come non era certo lo spirito d'avventura a spingere le persone a quel passo. Le prospettive erano quelle di una vita di stento anche oltreoceano, ma almeno sostenute dalla speranza di sopravvivere e di guardare, con meno ansia verso il futuro. Per alcuni poi, i più fortunati, non era un sogno proibitivo, l'obiettivo di accantonare un gruzzoletto, da investire poi in patria per l'acquisto di un campicello o di una modesta casa.
Ma i disagi non erano pochi, fin dall'inizio per affrontare il viaggio occorreva una cifra considerevole, enorme, almeno per quei tempi, ed allora ecco che molti vendevano le terre, gli animali, le masserizie e finivano anche per ipotecare la proprietà; chi invece non possedeva né case, né terreni da vendere, ricorreva ad un prestito in patria o al denaro anticipato da qualcuno che si trovava già all'estero. Alcuni ebbero la sventura di non trovare sollecito imbarco nei porti di mare e consumato quel poco di denaro che avevano,
furono costretti a ritornare nei propri paesi, rivolgendosi per soccorsi alla carità privata o giovandosi dei provvedimenti dell'autorità di pubblica sicurezza.
Racimolati i soldi necessari per l'imbarco, iniziava la grande avventura d'oltreoceano; anche il viaggio, in se stesso, era un autentico calvario, sia per i mezzi utilizzati troppo vecchi e poco consoni alla situazione, sia perché troppo sovraffollati, divenendo spesso focolai di infezioni.
La partenza, l'arrivo nel porto, il molo, l'incontro con i connazionali che si fingevano amici, lo scherno e il disprezzo che si avvertiva nei sorrisi e negli sguardi, il lavoro massacrante, la nostalgia struggente, il rifiuto di un mondo sentito a volte freddo e volgare, tutti elementi di un'esperienza subita come una ingiustizia amara.
E tra gli elementi negativi, anche il dramma sociale delle famiglie che rimanevano in patria, delle donne segregate, isolate, private dell'istruzione, delle amicizie dei contatti con l'esterno, che restavano in paese, a volte con i figli, a sostenere ed affrontare tutta una serie di problemi, dal lavoro nei campi al peso della casa, dalla convivenza, non senza difficoltà con i genitori del marito, alla censura implacabile dell'ambiente, del paese che tutto vede, tutto giudica, e tutto chiacchiera. Accanto poi alle donne che restavano, le cosiddette vedove bianche, quelle che partivano per raggiungere i mariti, il distacco era duro, doloroso e denso di nostalgia.
A questo punto si ritiene opportuno concludere con una considerazione di carattere più generale; anche se l'emigrazione “ nasce sul dolore e provoca dolore”, produce alla fine conseguenze positive e esperienze; inoltre letta in profondità, risulta caratterizzata da forti elementi di continuità positive per quei Paesi alimentati dal lavoro italiano, dalla fantasia e dalla tenacia italiana che porta, è vero, con sé il più delle volte con grande dignità, paure, timori, incertezze ma anche ambizioni,
speranze e voglia di lavorare. Ma positive anche per il nostro Paese che ha visto ridurre la propria dimensione popolazionistica e ha goduto delle rimesse degli emigranti, così due volte benefattori della Patria. Elementi di continuità perché l'esperienza migratoria non interviene a frantumare la struttura dei rapporti familiari, di parentela e in senso più lato, comunitari.
La comunità, infatti, si ricostituisce anche all'estero come categoria importante di integrazione nella vita quotidiana e professionale e sostiene la riarticolazione e l'apertura delle reti relazionali degli emigranti. Essa viene quindi valutata come una grande risorsa dell'Italia e per l'Italia, come un campo formidabile di esperienze, di capacità, di intelligenze e di forze sotto-utilizzate in patria per la crescita e la trasformazione di un mondo nuovo.