Tratto da "Culture, Danze e Popoli" - Comunità Montana Vallo di Diano - Febbraio 2007
Per ricostruire la storia di un territorio in tutte le sue manifestazioni, si deve necessariamente ricercare, raccogliere e riproporre l’insieme di quelle tradizioni, fatte di canti e balli, che in una realtà come quella odierna, sono pressoché scomparse per effetto dei mass-media, della civiltà dei consumi e della tecnologia e per il naturale ricambio delle generazioni.
Ci si volta indietro, ritornando con la memoria agli anni in cui allegre brigate si riunivano cantando e ballando, agli anni in cui si sentiva il suono di un’armonica che nel vico risuonava affiancandosi al dolce profumo del fieno e a quello del pane che cuoceva nel forno.
I canti popolari del Vallo di Diano, non sono solo canti di protesta, di ribellione, di rassegnazione, di speranza ma sono anche canti il cui motivo principale è pur sempre l’amore, in tutte le sue manifestazioni. Dolci e lente cantilene che spesso venivano canticchiate dalle nonne, mesti e accorati canti dei pastori che vegliavano i propri greggi, canti d’amore e di speranza intonati a voce spiegata dalle raccoglitrici di olive quasi a voler sfuggire alla tristezza e alla sofferenza del lavoro.
Carattere allegro del canto e solo di rado legato al lavoro: durante la mietitura o la vendemmia i canti tipici erano quelli d’amore oppure a sfondo storico e questo non perché la vita del contadino fosse priva di miserie, ma perché in questi canti, ricolmi di speranze, desideri, si trovava il ristoro dell’anima, quasi il superamento di una vita difficile, in cui si lottava quotidianamente contro le avversità dell’esistenza umana. Canti questi, che nascevano dal popolo e che tramandati di generazione in generazione oggi resistono nella memoria dei più anziani, che raccontano quanto fosse difficile conquistare una ragazza e parlarle d’amore: ecco perché nasceva la necessità delle serenate, del canto d’amore sotto le finestre al suono dell’organetto, oppure i canti intonati dal giovane innamorato durante le feste importanti ( Battesimo, Matrimonio), che potevano contenere sia vere e proprie dichiarazioni, che esaltare la bellezza della ragazza, evitando di nominarla, per farle recepire il messaggio, senza però che alcuno capisse.
Le serenate invece, potevano essere sia d’amore, sia di rabbia per il comportamento poco corretto da parte della fidanzata o della sposa, sia di odio per la perfidia della traditrice e di gelosia: la donna era vista nella sua veste più naturale, quella di sposa e di madre e tutto quello che l’uomo chiedeva era sincerità, serietà e verginità, un trinomio da cui non era possibile deviare.
Non mancavano poi, canti d’amore in occasione delle nozze in cui sia gli amici che i parenti degli sposi intonavano, durante la prima notte di nozze, al termine della cerimonia, e non mancavano neppure quelli d’amore materno e d’amicizia, come i canti conviviali, accompagnati dal suono della chitarra o dell’armonica durante i banchetti che realizzavano per importanti festeggiamenti: battesimo di un bambino, uccisione del maiale, festa patronale, raccolta delle mèssi.
Importanti e degne di menzione erano anche le ninne nanne, legate ad un motivo dolce e posato, che auspicavano ad un futuro prospero e cercavano di allontanare ogni forma di tristezza, i canti religiosi utilizzati durante le processioni, le filastrocche legate ai giochi dei bambini, e i canti funebri, che erano veri e propri pianti delle donne di famiglia che venivano realizzati durante la veglia funebre, dove le piangenti che si trovavano nella stanza dove era il morto, si strappavano i capelli, si battevano con le palme, invocavano lo scomparso ricordandone i fatti più significativi della sua vita e a intervalli una donna si esibiva in un “ a solo”evocando immagini come attributi del defunto.
La ricerca rivolta ai canti popolari ha fatto emergere la distinzione in 4 tipologie, in 4 modalità di esecuzione e precisamente “a paesana”, “a la rianesegna”, “a la cilentana”, “ a la sanguinnara”.
Il termine a la paesana vuole affermare una precisa identità culturale per una popolazione, costretta a spostarsi per il pascolo in ambiti geografici diversi da quelli del proprio territorio. Questa tipologia di canto viene eseguita a due voci: la prima funge da guida e la seconda ha un ruolo subordinato, di accompagnamento.
A la rianesegna, è la cantata tipica dei teggianesi, gli abitanti dell’antica Diano, oggi Teggiano, anche se questa modalità di canto è presente anche in altri paesi del Vallo di Diano. Eseguita da due o più persone, che si alternano cantando ciascuna un distico di canzoni diverse, è generalmente accompagnata dall’organetto, che nelle parti soliste imprime una forte carica ritmica all’intero brano, movendosi quasi sempre su di un tempo di tarantella .
A la cilentana, una modalità di canto che si spiega coi contatti che i pastori, da tempi immemorabili, avevano con i paesi del Cilento, dove si recavano in inverno per la transumanza. L’esecuzione è polivocale, a due o tre voci, con accompagnamento della chitarra battente, che ne è l’elemento distintivo.
Infine si ha la sanguiannara che si canta a voce molto alta e spiegata, a crudo cioè senza accompagnamento di strumenti musicali: è un modo efficace di dare sfogo al proprio sentimenti, quando si andava a legna con gli asini, proprio per la gioia di averne raccolta tanta, si voleva attirare da lontano l’attenzione della persona amata e poiché si andava in compagnia, si faceva a gara, alternandosi, a chi più alzasse la voce per fare arrivare il messaggio.
Molto diffusa ancora oggi, soprattutto durante le feste di nozze è un ballo che sopravvive con estrema tenacia, con forte attaccamento alla tradizione: la tarantella. Secondo alcuni prende nome dalla tarantola, un ragno velenoso diffuso nell’Italia meridionale. Si riteneva che il veleno del ragno provocasse fenomeni di convulsione e che la tarantella fosse in grado di scacciarli riproducendoli nel ballo (fenomeno del tarantismo).
La tarantella è caratterizzata dal sostituirsi, di volta in volta, dei componenti della “coppia”: distaccandosi dal cerchio avanzano verso il centro, e mentre l’uomo rientra nel cerchio, la donna si sceglie un altro cavaliere, successivamente è la volta della donna, che rientra nel cerchio mentre l’uomo cerca una nuova compagna. Per mitigare l’intrinseco significato di corteggiamento della tarantella, spesso si balla non in coppie miste, ma tra uomini o tra donne e mentre il ritmo musicale è veloce, il ballo si presenta controllato e regolare, anzi i ballerini che maggiormente rispettano la tradizione, esprimono una rigidità nel corpo ed anche una forte precisione nei movimenti. Sembra sfiorino il suolo, e nessuno sforzo traspare, sia dalla postura del busto che del capo, ma si evidenzia una forte partecipazione, un evidente sentimento di gioia ed orgoglio espresso fin nei gesti delle mani: ciò si acquisisce solo vivendo nell’ambiente in cui il ballo nasce e per il quale conserva tutti i suoi più intrinseci significati.
Accanto alla tarantella, anche la mazurca, la polka, la quadriglia, costituite da passi e figure originali, oggi stanno perdendo molto del loro legame con la tradizione, della peculiare originalità coreografica, dimenticandone spesso i passi: soprattutto durante i matrimoni, ancora oggi, la festa è allietata dal suono dell’organetto, della fisarmonica che accompagnano questi balli, in cui la diretta partecipazione avviene più per curiosità da parte dei giovani e spesso anche per divertimento, che per continuità della tradizione stessa.
Le danze popolari sono spesso accompagnate da strumenti musicali tipici della tradizione delle aree di appartenenza, quali la zampogna, le ciaramelle, l’organetto, tutti strumenti che oltre ad accompagnare i canti, guidano il ballo.
La zampogna, fu ed è ancora oggi il principe nella musica popolare di tutta l’Europa.
Il carattere popolare della zampogna risulta evidente dalla sua capacità di eseguire una melodia con relativo accompagnamento armonico senza l’ausilio di altri strumenti.
Il repertorio musicale, generalmente molto arcaico e peculiare alle diverse comunità agro-pastorali locali, era costituito da brani veloci, adatti per il ballo (tarantella, stornelli…) e da brani lenti per le occasioni rituali come i canti “appresso al santo”, la novena o altre occasioni- pastorale, serenata, accompagnamento al canto ecc. - , rappresenta l’anima popolare di una tradizione che è stata per troppo tempo dimenticata e verso la cui originalità, par di attingere il significato e il suono primitivo delle parole, di riscoprire la verginità dei sentimenti, di penetrare un mondo intatto dove bene e male, sofferenza e gioia, fatica e riposo sono aspetti di una realtà non disintegrata, come quella attuale: diventa quindi indispensabile valorizzare questa parte di storia, di arte, per permettere di recuperare e far conoscere l’identità artistica, storica e culturale di un popolo, quello del Vallo di Diano.