Un itinerario attraverso Polla, Padula e Montesano, volto a scoprire i segni dell'antica presenza greca nel Vallo di Diano , tramandati dalle consuetudini locali e dall'arte.
Diversamente dalle grandi città, dove si è persa la ritualità dei gesti e delle azioni che compongono il vivere quotidiano, nei piccoli centri del Vallo di Diano continuano ancora ad essere presenti dei modi di fare, di dire o di sentire appartenenti ad un lontano passato, che riaffiora nella vita di tutti i giorni in modo inconsapevole.
Se andiamo a cogliere queste tracce, inserendole nel loro contesto e decodificandole, risaliamo ad un tempo veramente remoto, quando la cultura greca penetrò nel Vallo influenzandolo in maniera duratura.
Già in epoca Arcaica (VIII-III sec. a.C.), la colonizzazione greca delle coste dell’Italia meridionale fece sentire i suoi influssi nell’entroterra, raggiungendo anche il Salento e la Lucania.
Nell’alto Medioevo (VI-XI sec. d.C.) il Vallo di Diano fu zona di frontiera, imprecisa e fluttuante, fra domini longobardi e bizantini, luogo dunque di contrasto ma anche di contatto tra la cultura germanica e quella bizantina.
A quest’ultima diedero un apporto fondamentale i monaci italo-greci che nel IX-X secolo, fuggendo dalla Sicilia e dalla Calabria invase dagli Arabi, risalirono verso il Cilento fermandosi anche nel Vallo. Propensi alla solitudine contemplativa, essi si ritirarono dapprima in luoghi disabitati, guadagnandoli all’agricoltura con instancabile opera di dissodamento; abbandonata poi la pratica anacoretica, propria dei modi spirituali ed organizzativi del monachesimo orientale, svolsero un ruolo fondamentale nelle dinamiche del popolamento e della pianificazione produttiva delle aree rurali.
Esempi emblematici sono S. Arsenio e Sassano, che nacquero grazie alla capacità aggregativa esercitata dalle rispettive fondazioni monastiche italo-greche.
Cosa rimane oggi nel Vallo di Diano di questa presenza greca?
Sicuramente la toponomastica: nel territorio di Padula, il più studiato sotto questo aspetto, sono di presumibile origine greca nomi di luogo quali Alvanéta (da “albanese” in riferimento a genti slave forse al seguito di armate bizantine), Mandrano (da mandras “recinto, ovile”), Amprosta; mentre Santèrna (Sant’Elena), S. Elia, Nocito (dal santo eremita Niceta o Aniceto) richiamano culti di origine orientale.Le pergamene di S. Maria di Pertosa (XI e XII sec.) redatte in greco sono un segno evidente dello stanziamento di popolazione grecofona.
Ma anche la religiosità popolare ripete usanze orientali, come le preghiere corali rivolte a S. Michele Arcangelo,il modo di segnarsi la croce, i cinti portati in processione o alcune commemorazioni, quali la festa di Tutti i Santi a Padula, che cade a maggio anziché a novembre, rispettando il calendario orientale.
Influssi greci si trovano inoltre nei disegni stilizzati della coperta tradizionale padulese, detta sfiuccàta; nel costume tradizionale femminile; nei piatti tipici quali la cuccía; nei vocaboli dialettali (gnagna che significa “mente” viene dal greco gnome; catafuorco da katafoleos vuol dire“caverna”;
zita indica la “sposa” e viene dal verbo zeteo: “desiderare, chiedere” etc.); in alcune opere artistiche, seppure in questo caso la scarsità delle testimonianze impedisce di andare oltre l’affermazione di una generica matrice bizantineggiante.
La visita di Polla, Padula e Montesano cercherà di mettere in evidenza queste tracce bizantine, ma ovviamente prenderà anche in considerazione le altre fasi, che hanno determinato e creato la storia ed i monumenti di questi centri.