Tratto da "Culture, Danze e Popoli" - Comunità Montana Vallo di Diano - Febbraio 2007
Feste patronali
La tradizione locale e il folklore, come si è precedentemente detto, accomunano una infinità di riti, usi, festività ed è proprio la festa a diventare in questa fase oggetto di interesse.
All’interno del Vallo di Diano, una festa patronale di notevole interesse è quella che si sviluppa a Sala Consilina, sulla devozione dell’Arcangelo Michele diverse sono le tappe che caratterizzano il culto del Santo a partire dall’8 maggio, giorno in cui la statua viene portata in processione sul monte Balzata, fino alla vera e propria festa patronale del 29 settembre quando la statua ritorna in paese.
Altra festa che gode di gran vanto rispetto alle altre è quella di Teggiano, in riferimento alla figura del Santo protettore, San Cono.
Il 3 giugno si commemora la Sua morte con una festa che si protrae per diversi giorni e una processione, alla quale partecipano tutte le congregazioni, il Seminario, il Capitolo diocesano, il Vescovo e le donne che portano sul capo i cinti, dalle forme più svariate con in cima la statuetta del Santo. E’ la festa che più delle altre presenta una notevole originalità, sia per la maestosità che le conferisce la cerimonia religiosa, sia per la presenza del Vescovo, del Seminario, del clero, sia per la grande devozione nei riguardi di un Santo, Patrono e Concittadino di Teggiano, legato ad un forte misticismo.
Ad Atena, il 2 luglio si festeggia la Madonna della Colomba in realtà è una Madonna delle Grazie che ha subito una trasformazione iconografica in seguito ad un miracolo operato nei secoli passati.
Ancora a Buonabitacolo la festa del patrono è quella di Sant’Elia, dove dopo una processione, la statua del Santo, che riprende l’iconografia bizantina, viene portata su di un carro di legno in ricordo di quello che lo condusse in cielo, in effetti la fine misteriosa di Elia è descritta come un rapimento per mezzo di un carro di fuoco. Oggi la statua in legno che ha vesti ricoperte d’oro, viene portata a spalle, insieme alla venerata immagine di Maria SS.del Carmelo, compatrona. Iconograficamente Sant’Elia è identificato con un Santo orientale, coperto da un manto dorato, tipico dei santi bizantini, il cui culto è concentrato in Grecia, dove numerose sommità sono a Lui dedicate. Questo è avvenuto anche a Buonabitacolo poiché quello che oggi è conosciuto come Monte Carmelo, una volta era chiamato Monte Sant’Elia: ciò spiega perché la Madonna del Carmelo, venga portata in processione insieme al Santo il giorno della festa del 20 luglio.
A Monte S. Giacomo il 25 luglio si effettua la processione in onore di S. Giacomo mentre il 26 in onore di S.Anna protettrice delle partorienti.
A Padula, festa dell’ultima domenica di maggio, è quella di S. Michele, detta anche di tutti i Santi, proprio perché tutte le statue delle altre parrocchie vengono portate presso la Chiesa Madre e, successivamente in fila, vengono condotte in processione.
A Casalbuono, la festa di S. Antero, dove il Santo raffigurato con un bastone d’argento nella processione, è seguito dalla Madonna delle Grazie ed è preceduto dalla confraternita dei fratelli di Sant’Antero.
Continuando la rassegna delle feste patronali, a Polla la Madonna del Carmine è molto invocata e questo forte legame risale al terremoto del 1857, terribile per i pollesi in quanto ci furono un migliaio di vittime; essa fu proclamata patrona del paese intorno alla metà del secolo scorso prima che venisse reintegrato nel titolo San Nicola, al quale è dedicata la Chiesa Madre.
A San Pietro al Tanagro, la statua del Santo - Pietro - esce dalla chiesa Madre preceduta da donne e bambini membri delle confraternite e associazioni religiose disposti in due file, seguono le donne portatrici dei "cinti", costruiti con candele bianche e addobbati con gli ex-voto d'oro e d'argento. I procuratori che si affiancano all' inizio del corteo per raccogliere le offerte distribuiscono le figurine del santo mentre dietro la statua seguono il parroco affiancato dalle varie autorità locali.
A Sassano la festa è preceduta dalla novena: la sera della vigilia si porta in processione la “guglia” di San Giovanni, una struttura realizzata in legno e carta colorata, con al centro l’immagine del Santo e circondata da luci. Il Santo, parte dalla Chiesa Madre anticipato da animali quali vitelli, agnelli e da donne che portano i “cinti”.
Anche per Sant’ Arsenio, come in tutte le altre ricorrenze festive, si assiste alla processione per festeggiare i due Santi Patroni: S. Anna e Sant’ Arsenio.
Le notizie sul patrono di San Rufo, sono molto scarse e vaghe: si sa che comandava le milizie romane a Ravenna, ai tempi del vescovo Apollinare che lo convertì alla religione cristiana e che abbandonata la carriera delle armi, tornò a Capua dove era nato e qui fu acclamato vescovo. Morì martire durante le persecuzioni ariane.
Ma accanto a questa devozione, anche quella della Madonna della Tèmpa è molto sentita.
Molto originale è poi la festa della Madonna della Neve presso Sanza, - Santo Patrono è qui però San Sabino - dove la statua viene portata sul Monte Cervato accompagnata da canti, lumi di candele; durante tale processione dove si notano alcune persone scalze per voto, il sacerdote con alcuni devoti, è solito rimanere per qualche giorno in montagna: questo avviene il 26 luglio. Il successivo 5 agosto la statua viene ricondotta in paese in una singolare cappellina, tramite una processione realizzata con canti di gran fervore. I pellegrini che l’accompagnano, tornano in paese e la cappellina durante tutta la giornata diventa meta di devoti, finché nel pomeriggio una gran folla preleva la Madonna per portarla in Chiesa.
Quindi le feste patronali, all’interno del territorio del Vallo di Diano, sono molteplici, ed oltre ad essere caratterizzate da peculiarità molto simili, sono anche legate ad una forte ritualità; la religione rappresenta infatti il mezzo più valido per legare il popolo a Dio, legame che si realizza tramite le più disparate usanze: processioni, riti particolari, salite al calvario, canti, preghiere e tutto questo evidenzia la forte originalità intrinseca in ogni tipo di festa, in ogni tipo di culto.
Feste Pagane
Accanto alle feste patronali di importanza non indifferente, risultano anche quelle pagane; in tale denominazione si inglobano le sagre, le fiere e tutte la diverse manifestazioni folkloristiche che si svolgono sul territorio del Vallo di Diano. Sia la sagra, festa che si svolge in un paese o in un rione per celebrare un raccolto, un prodotto, e sia la fiera, un gran mercato che si tiene in particolari circostanze dell’anno, sono legate al mondo contadino: in passato, nella cultura contadina il piano festivo non era affatto distinto da quello produttivo, non era necessariamente separato dal “lavoro”. Il periodo della vendemmia, della mietitura, della raccolta delle olive, momenti del ciclo produttivo della vita contadina, erano tutti legati ad altrettanti momenti di festa; in questi casi il lavoro si caratterizzava come festivo non solo per i suoi aspetti di opera collettiva indirizzata a cogliere i frutti di un’annata di fatiche, ma era festivo anche perché si aveva socialmente da spartire con tutta quanta la comunità, una parte della produzione.
Le sagre realizzate all’interno del Vallo, in realtà sono molto legate alla terra, a ciò che essa produce, e anche nelle zone di montagna si svolgono sagre che cercano di proporre e rivalutare vari prodotti tipici: degne di menzione sono la sagra del carciofo bianco a Pertosa, organizzata a maggio con la realizzazione di uno stand gastronomico e la degustazione di piatti tipici, la sagra del caciocavallo Sassanese, quella dei “Cavatieddi e dell’Arrosto” paesano presso Sanza, la sagra de “Ri li Fasuli Scucchiularieddi” a Casalbuono, la sagra di “Patan’ e Cicci” a Monte san Giacomo che si svolge tra Natale e Capodanno nella piazza del paese riscaldata dal falò, diventata oramai una tradizione, organizzata per la prima volta nel Natale del 1983, per ricreare dopo il terremoto, un momento di coesione e allegria tra la popolazione del paese, la sagra della Castagna De Liverti a S. Rufo; costituiscono solo una piccola parte di quelle note e sviluppate sul territorio.
Le fiere invece, che accompagnano o meglio anticipano una grande festa, che di solito è una festa patronale, sono abbastanza frequenti nel Vallo, basti ricordare la fiera di Santa Maria a S. Pietro al Tanagro, oppure quella del Tumusso a Padula ed ancora la fiera di Sanza per la Madonna della Neve, sono questi solo alcuni esempi che permettono di valorizzare ed evidenziare l’importanza che hanno avuto in passato, l’originalità che ancora oggi conservano e l’assoluta necessità che si ha di conservarle e preservarle dal trascorrere del tempo.
La fiera del Tumusso ad esempio, prende nome molto probabilmente dalla località posta più a valle rispetto alla zona in cui si svolge attualmente, nei dintorni della Certosa di Padula: proprio in questa località, Tumusso, anticamente si svolgeva la fiera, un evento dalle vaste proporzioni, che si conserva uguale all’originale solo in misura di circa il 50%.
E ancora la fiera di Santa Maria presso S. Pietro al Tanagro, fiera istituita con Regio Decreto del 1829 che si tiene nei giorni dal 12 al 14 agosto, seguendo la tradizione diffusa che ha sempre visto le fiere tenersi alla vigilia della festività a cui erano legate. Nel corso del ‘900, probabilmente, è stata spostata alla sola giornata del 15 agosto, giorno in cui si festeggia l’Assunta. Tale fiera è da sempre conosciuta per la vendita delle piantine delle cipolle, le stesse che si vendevano a S. Pietro durante la fiera di S. Giuseppe. Inoltre la fiera di S. Maria, così come altre fiere ormai quasi scomparse o snaturate, era importante anche per la vendita degli animali.
Non possiamo dimenticare poi, la fiera di S. Maria della Neve che già nel 1812, aveva luogo dal 6 al 10 agosto, poi ridotta solamente ai giorni 6 e 7 agosto.Verso gli inizi del secolo scorso fu differita alla seconda domenica di settembre e poi fissata definitivamente al 17 settembre per comodità essenzialmente dei pastori che, secondo la consuetudine inveterata, a fine agosto o principi di settembre tiravano le somme delle entrate e delle spese delle molte masserie, che vivevano sugli estesi demani comunali. Dopo tale operazione ognuno poteva vendere alla fiera gli animali di cui si voleva disfare.
Il 23 luglio, a Sant’ Arsenio sempre nell’ambito dei festeggiamenti dei Santi Patroni, ha luogo la fiera delle cipolle: si trovano tutti i tipi di cipolle, recipienti in legno per il vino, barili, tini, botti. Particolari erano in passato, soprattutto le baracche costruite con fronde di quercia e decorate con foglie di edera, che vendevano diversi prodotti per il ristoro dei forestieri.
Un ruolo di particolare importanza è attribuito poi, alla fiera mediterranea che si tiene a S. Rufo già da diversi anni durante il mese di luglio.
Tra le rievocazioni storiche si può far menzione de “Alla tavola della Principessa Costanza”per la realizzazione di un avvenimento che esaltasse il ruolo di Teggiano nelle vicende del Vallo.
Ancora una manifestazione che si svolge a Sala Consilina nei giorni 4-5 e 6 agosto, una rievocazione storica dell'arrivo di Carlo V, l’Imperatore che, dopo la vittoria riportata nella spedizione in Tunisia, risalì l’Italia accolto da numerosi festeggiamenti.
A Padula, degna di menzione è la realizzazione della Frittata dalle mille uova, che riprende la leggenda secondo la quale Carlo V con il suo seguito, al ritorno dalla battaglia di Tunisi nel 1535, fu ospite per due giorni dai monaci certosini e che in suo onore fu preparata una frittata dalle mille uova. Di qui è nata l’idea di far rivivere la leggenda con la progettazione dell’enorme padella del diametro di 3 metri e del peso di una tonnellata, munito inoltre di un complesso meccanismo di sollevamento e rotazione.
Tra i percorsi eno-gastronomici invece è possibile menzionare “Passeggiando per San Pietro e San Raffaele”, manifestazione che si tiene nel centro storico di Sala Consilina, caratterizzato da uno scenario suggestivo fatto di luci ed ombre e dalla splendida veduta del Vallo di Diano.
Ancora “Lu cunto ri zi Liuccio”, ( “Il racconto di zio Eliuccio”, in riferimento a S.Elia Patrono di Buonabitacolo), manifestazione gastronomica e precisamente una passeggiata nel piccolo, ma suggestivo centro storico di Buonabitacolo tra le stradine e i vari scorci dove è possibile ammirare nel buio della sera il Complesso monumentale di San Domenico Soriano e palazzi gentilizi, aperti per l'occasione, nonché degli stand di espositori di oggetti antichi.
Ad Arenabianca, frazione di Montesano, si tiene la festa della Collina che mira a valorizzare in primo luogo i benefici naturalistico-ambientali della collina.
A Sant'Arsenio ogni anno il 16 agosto si ripete il "Palio di San Rocco" in occasione della ricorrenza festiva del Santo. Quest'evento, che prevede una serie di giochi come la rottura delle pignate, la corsa con i sacchi e "ova e cchucciàra" (ogni concorrente cerca di correre reggendo un uovo su un cucchiaio tenendo questo con la bocca), è incentrato soprattutto sulla scalata di un palo, alla cui sommità sono appesi dei doni, effettuata da squadre di quattro uomini che si arrampicano l'uno sull'altro.
Mentre il 5 agosto a Teggiano, viene realizzato “Il Palio delle Contrade ovvero Palio dei Ciucci”, che si disputa correndo da una a tre batterie (a discrezione del capitano del Palio) nella Piazza della frazione di San Marco. Gli asini sono cavalcati da un fante per ognuna delle sei contrade (San Marco, San Salvatore, San Raffaele, San Paolo, Pozzale e Boccarino), che nel prologo corre a piedi per stabilire la posizione di partenza.
FESTE STAGIONALI
Per feste stagionali si intende l’insieme di quelle feste contadine, che nascono proprio durante le faticose operazioni di mietitura, di vendemmia, di raccolta delle olive, che ancora oggi in alcuni paesi del Vallo hanno dimostrato un notevole grado di resistenza e di continuità nel tempo. E’ importante comprendere il significato di tali manifestazioni, che continuano ad avere una vitalità, e in alcuni casi, una vera e propria ripresa, nell’ambito di una cultura che non è più definibile come contadina.
In passato infatti, durante queste attività lavorative si realizzavano delle vere e proprie feste, caratterizzate non solo dalla partecipazione di intere famiglie patriarcali che spontaneamente prendevano parte al lavoro, con armonia e schietta allegria, ma anche da un clima fatto di canti, di balli, e anche di ottimo cibo: per lavorare bene bisognava mangiare bene.
Per la mietitura ( fine giugno a seconda dell’andamento stagionale) ad esempio, la giornata iniziava presto, per poter lavorare col fresco del mattino che faceva sentire meno la stanchezza ed evitava che il grano si spezzasse durante la mietitura e la raccolta. Si mieteva a mano, utilizzando la falce adatta a questo lavoro, che era più grande e provvista di dentini rispetto a quella normale. I mietitori procedevano unitamente nella stessa direzione, seguiti dai "leàndi", cioè da coloro che dovevano legare "le hrègne" (i covoni) di grano utilizzando i "vàuzi", cioè due ciuffetti di grano con lo stelo annodati su se stessi, facendo ruotare le spighe di un ciuffo su quelle dell’altro ciuffo. Qualora il grano era un po’ umido, tutti i fasci venivano messi, singolarmente, in piedi con le spighe verso l'alto, in modo da asciugare facilmente. Finita la mietitura si raccoglievano tutte "le hrègne". Il giorno lavorativo si concludeva così in vista di una prossima giornata dedicata al trasporto per la realizzazione della "méta" (bica), cioè di un gigantesco mucchio sistemato secondo un preciso ordine che raccoglieva tutte "le hrègne" in un posto dove la trebbia poteva arrivare. Concluso il lavoro della mietitura si poteva finalmente mangiare tutti intorno ad una stessa “tavola” seduti per terra, in un posto all'ombra, allietati dal suono dell'organetto e di qualche cantore che intonava “canzuni”, cioè canti popolari. L'atmosfera era coinvolgente per cui ci si ritrovava a ballare tarantella e altri balli.
La trebbiatura avveniva con una trebbia vecchia di oltre cinquant'anni, di quelle cioè che avevano il motore con l'avviamento manuale, sistemata nelle vicinanze della bica dei covoni, da cui un uomo prendeva con una forca di legno un covone per volta e lo depositava a terra, dove un altro uomo tagliava li vàuzi (legacci naturali fatti con ciuffi di grano annodati) e passava il grano ora sciolto, all'uomo che stava sopra la trebbia. Avveniva poi la separazione meccanica tra i chicchi di grano, che cadevano nei sacchi di iuta e, la paglia che cadeva nella parte posteriore della trebbia. Qui le donne la inforcavano per spostarla su un lenzuolo steso a terra, che, una volta riempito, lo annodavano per spigoli contrapposti. Tutto era così pronto per il trasporto che veniva fatto da una donna sulla testa, fino alla bica di paglia realizzata da un uomo che stendeva man mano la paglia intorno ad un palo di legno. Altri uomini spostavano e pesavano i sacchi di grano ottenuto. Tutto il processo richiedeva molte ore anche per piccole quantità di grano da trebbiare, poiché la meccanica era piuttosto primitiva. Concluso il lavoro si assisteva all'arrivo delle donne che portavano in testa il pranzo nei cesti, le quali stendevano la tovaglia (m'sàle) per terra. Dopo una rudimentale apparecchiatura gli uomini si sedevano intorno "alla tavola" serviti dalle donne, accompagnando il pasto con vino a volontà. Arrivava quindi il momento più lieto fatto di suoni, canti e balli di musica popolare fino a tarda sera.
Mentre il lavoro di mietitura veniva svolto con estremo raccoglimento, in tono serioso quasi si trattasse di un rito, quello della vendemmia (tra settembre e ottobre) invece si basava sull’allegria, sullo scherzo, sul divertimento, tutto imperniato di strofette e ritornelli tipici del luogo,caratterizzato da canti, con un continuo e perenne vociare, da toni diversi, molto briosi e a volte anche spinti.
Il raccolto dell’uva era preceduto da un lavoro preparatorio che si effettuava in cantina: si bagnavano tutti i recipienti di legno, tini, botti, tinozze, affinché con l’acqua si gonfiassero e non provocassero così la fuoriuscita del mosto una volta inserito all’interno. Successivamente si preparavano i grossi cesti per contenere l’uva e si stabiliva il giorno per il raccolto, svolto con la diretta partecipazione di parenti ed amici, i quali non iniziavano molto presto il lavoro, per consentire alla rugiada di asciugarsi. La parte più caratteristica dell’intera vendemmia si svolgeva nella vigna, sia quando si staccavano le pigne dai tralci e sia quando tutti a mezzogiorno si riunivano per mangiare. La raccolta era un continuo di battute, scherzi, allusioni anche perché era visto come uno tra i rari momenti in cui due giovani innamorati potevano lavorare e stare insieme, e nello stesso tempo intonare canti d’amore per la ragazza, oggetto di interessamento. Nota predominante di tutta la vendemmia erano quindi i canti d’amore, scherzosi, sia essi dispettosi, ingiuriosi ma comunque canti che accompagnavano le fatiche di una giornata lavorativa.
Riempiti i cesti si svuotavano nei tini oppure nei “cupieddi” se l’uva doveva essere trasportata in paese per la pigiatura, dopodiché si attendevano otto -dieci giorni per la fermentazione del mosto e si provvedeva così al travaso nelle botti.
L’ultimo raccolto dell’anno era quello delle olive, forse il più duro, il più sofferto per le cattive condizioni climatiche in cui le donne erano costrette a lavorare ma soprattutto per il modo in cui venivano trattate dai grandi e piccoli proprietari, di fronte ai quali non potevano ribellarsi. La raccolta delle olive, era un lavoro tipicamente femminile, dove per circa un paio di mesi a partire dal 13 dicembre, dopo S. Lucia, tali raccoglitrici si vedevano o curve per terra a raccogliere le olive cadute, oppure sugli alberi con lunghi bastoni, con la punta ad uncino per staccare il frutto dai rami. Questo estenuante lavoro era accompagnato anche da canti seppur le condizioni nella maggior parte dei casi era critica: il freddo che ghiacciava le mani, il vento che penetrava nelle ossa, la stanchezza che opprimeva il corpo e lo spirito. Una dura realtà che in passato gli avi hanno vissuto e che purtroppo sta piano piano scomparendo, dimenticando queste straordinarie tradizioni fatte di sacrifici, di lotte estenuanti per la sopravvivenza in un mondo fatto di miserie, di ingiustizie, in un “piccolo mondo antico” in cui si muovono povertà, ignoranza, primitivi sentimenti del bene e del male, ma anche speranze, amore e spiritualità.