Tratto da "Culture, Danze e Popoli" - Comunità Montana Vallo di Diano - Febbraio 2007
Il gioco è senza dubbio, una delle manifestazioni più interessanti della personalità di un bambino, un potente strumento di sviluppo, che rende possibile l’accettazione dei limiti posti ai bisogni ed ai desideri e l’acquisizione delle prime regole sociali e morali.
Molti hanno cercato di analizzare i vari tipi di giochi effettuati dai bambini di ogni tempo e di ogni paese, addirittura tentandone delle classificazioni: si distinguono quindi, giochi che hanno la funzione di stimolare l’ abilità motoria (salto, corsa ecc.) o intellettuale, o giochi di origine o di eredità, ossia giochi che si tramandano di generazione in generazione e che risalgono ad antiche attività dell’uomo (lotta, caccia). Tutti questi tentativi di studio e classificazioni obbediscono ad una intenzione fondamentale, tendono infatti, ad aiutarci a capire perchè si gioca. Rispondere a questa domanda vuol dire comprendere e rendersi conto di esigenze profonde ed intime dell’animo umano, non solo dei piccoli ma anche dei grandi, i quali pure hanno i loro “giochi”.
Introdotto nell’ambito della tradizioni familiari, il gioco viene visto come legame di tutte le attività ed ha una diffusione pressoché unitaria tra le famiglie e i paesi del Vallo, distinguendosi generalmente per lievi varianti che non ne modificano il significato.
Innanzitutto va detto che i giochi venivano praticati per strada, perchè dalla strada nascevano: giochi semplici a volte quasi puerili, con l’impiego di oggetti naturali o di uso quotidiano, fatti soltanto per il piacere di divertirsi.
“Li stàcci”, “a bbuttùni”, “tòzza mùru”, erano i giochi che consistevano nel lanciare da una certa distanza oggetti come bottoni, monete, cocci colorati, noci, e ancora esisteva, allora come oggi, un gioco dove intrecciando tra le mani un lungo spago si creavano, in compagnia di un altro giocatore, infinite figure che nascevano dalla creatività di ognuno, tale gioco terminava quando prendendo l’intreccio sbagliato, il filo ritornava alla posizione iniziale. Si faceva poi, girare la trottola “ lu strùmmulu”, con uno spago, cercando di colpire e rompere il giocattolo del compagno, oppure si correva per le strade del paese con il cerchio, “ lu cìrchiu”, ricavato da vecchi tini, barili o botti, cercando di guidarlo con un bastoncino diritto o ricurvo, oppure ancora il gioco del “màzze e tàccaru”, consistente nel far saltare un bastoncino affusolato percosso con un bastone più lungo e ripreso al volo per scagliarlo più lontano.
Il gioco, poi, per eccellenza della strada era quello della “settimana”, che consisteva nel saltare con un solo piede su uno schema tracciato per terra, composto da 7 caselle e contemporaneamente lanciare e recuperare un sasso nei vari riquadri della figura stessa.
Nei giochi dei bambini più piccoli c’era poi quello della “conta”, conteggio con filastrocche varie per stabilire a chi toccava fare una determinata cosa prevista dal gioco, ed il gioco della “pizzica ndròngula”, l’altalena o del “zuzùddu”, dove si giocava coi carretti, aggrappandosi in due alle stanghe e al legno posteriore e correndo sfrenatamente per le vie del paese.
Anche gli uomini un tempo giocavano all’aperto, usuale era il gioco delle bocce.
Inoltre, un tempo, ogni domenica si giocava alla “palla sforzata” o a “ lu casucavàddu”, una gara di lancio di una palla di ferro o di un caciocavallo, lungo un percorso che si svolgeva per tutto il paese; la posta in gioco era una bottiglia di vino che veniva bevuta, sconfitti e vinti nel “patròn’e sòtta”.
In definitiva, mentre gli adulti esercitavano il gioco solo perchè quest’ attività rappresentava un passatempo da vivere con gli amici nei momenti di riposo dal lavoro, la capacità e la voglia di giocare si affermava invece nei bambini, in termini di spontaneità e naturalezza: “i bambini giocavano e giocano per essere bambini”.