Tratto da "Culture, Danze e Popoli" - Comunità Montana Vallo di Diano - Febbraio 2007
Accanto a tutti questi mestieri, ve n’erano degli altri che con gli anni sono andati scomparendo, come “li leonaiuòli”, “li trappetàri”, “li seggiàri”, “lu scarparu”, attività queste, per lo più manuali, apprese con pratica ed esercitate abitualmente per trarne guadagno.
Per quanto riguarda la figura dei legnaioli, sia gli uomini che le donne, appena iniziava il periodo primaverile, si dedicavano alla raccolta della legna secca nei boschi, attività questa che proseguiva per tutta l’estate e parte dell’autunno.
Erano di solito divisi in due categorie: quelli che possedevano “la travaccatura” cioè la bestia da soma, e quelli meno fortunati che in realtà non possedendo nulla e trasportavano la legna sulla testa oppure a spalla.
Il primo gruppo era costituito da uomini, che con l’aiuto di un asino o di un mulo, raccoglievano la legna, che poi vendevano in paese, alle famiglie più ricche, suddivisa in canne; il pagamento veniva effettuato in denaro oppure nella maggior parte dei casi, in natura. Solitamente realizzavano un viaggio al giorno, anche se nei casi in cui l’interesse verso il guadagno era forte, facevano anche doppi turni, accumulando quanta più legna era possibile.
Il secondo gruppo era invece costituito soprattutto da donne, che alle tre del mattino si riunivano per partire tutte insieme alla ricerca della legna, seguendo il sentiero tracciato dai pastori e ritornando poi verso le otto/ nove del mattino, dopo uno sforzo eccessivo e impastati di sudore e di polvere. Lavoro disumano, però spesso necessario per poter sopravvivere alle terribili miserie che imperavano in questi paesi, e che condannavano gran parte della popolazione; la ricerca della legna diventava fondamentale perché veniva utilizzata durante tutto il periodo invernale e finire la legna significava finire il pane, significava creare un serio problema per la sopravvivenza stessa.
Inoltre, ad aggravare la loro condizione, colma di sacrifici, vi era il pagamento di una tassa al Comune, nota come fida legna: si autorizzava il raccoglitore a prelevare dai boschi comunali soltanto legna secca, in caso contrario si sarebbe finiti in Pretura per rispondere del reato di danneggiamento e furto ai danni del Comune.
Altro lavoro che nei territori del Vallo, non è ancora del tutto scomparso, anche se è abbastanza limitato soprattutto nei paesi dove prolifera l’ulivo, è quello dei “trappetàri”o frantoiani, contadini che molinavano le olive presso i frantoi o “ggugliàre”, per estrarne l’olio.
Anticamente, tutto il lavoro veniva effettuato con l’ausilio delle braccia oppure, con l’utilizzo di un animale da soma, spesso un asino, che legato all’asse orizzontale della macina in pietra, la faceva girare permettendo così, seppur con estrema lentezza, di macinare le olive e farle diventare poltiglia. Con la stessa lentezza un altro operaio/contadino con una grossa pala in legno rivoltava il macinato, continuando incessantemente a spingerlo sotto la macina. La “ ugliàra” era un locale di ritrovo, in cui si respirava la modesta vita paesana, in cui si raccontavano i fatti più strani, un mondo fatto di vicende e leggende a volte anche fantastiche che costituivano, in fondo, la vecchia modesta storia del paese.
Ogni frantoio era costituito da due squadre di operai, composta da 5 o 6 membri, che lavoravano a turno, di giorno e di notte, supervisionati da un “massaro”, che redigeva e coordinava l’intero lavoro, in tutte le sue fasi.
C’erano poi “li seggiàri” che andavano a lavorare a giornata nelle case dei signori e dei ricchi massari, per aggiustare sedie rotte, spogliate o sfondate.
Gli attrezzi del lavoro erano pochi e semplici: un fascio di falasso, una buona scorta di stecche e di bastoncini di legno di faggio, uno scalpello, un martello e un coltello molto affilato.
Da menzionare inoltre“lu scarpàro a la iornàta”, che veniva assunto a giornata, presso famiglie contadine, come calzolaio di fiducia, per preparare le scarpe che tutta la famiglia usava in inverno. Il calzolaio portava il deschetto, non molto largo e con tanti scompartimenti per i diversi chiodi, un cassetto per altri attrezzi, lesine, spatole e setole.
Indimenticabili ricordi di una vita, di una società, di un costume per sempre tramontato, impietosamente distrutto da un cinico e feroce consumismo, dura, cruda verità di una vita che gli avi hanno realmente vissuto, troppo facilmente dimenticato e vivente solo nel ricordo di qualche nostalgico.