Tratto da "Culture, Danze e Popoli" - Comunità Montana Vallo di Diano - Febbraio 2007
Contrariamente a quanto avviene oggi, le donne non avevano tempo di preoccuparsi della moda, del parrucchiere perché occupate tutto il giorno e molte volte anche di notte a risolvere i tanti problemi che assillavano la famiglia.
Queste donne, talvolta larve di donne, erano delle grandi sacrificate, che spesso conoscevano il riposo solo quando si addormentavano per l’ultimo sonno.
Quanti drammi tenuti nascosti nelle famiglie, quante preoccupazioni per mantenere un certo decoro, far maritare le figlie, approntare il corredo, racimolare la dote; un amore spinto sino all’esasperazione, una preoccupazione del domani che costringeva a sottoporsi a qualsiasi sacrificio e rinuncia.
In passato la donna, perennemente analfabeta ed insicura di sé, era quasi sempre relegata in umili servizi, spesso superiori alle sue forze e, quale elemento passivo, era succube del padre o del marito, dai quali veniva diretta e controllata.
La donna , sicura e vigile delle ragioni concrete della vita non dimenticava mai i suoi doveri di sposa e di madre e sotto questo aspetto era davvero l’angelo della casa, gelosa custode delle migliori tradizioni della famiglia.
Una di queste, era la preparazione del pane, che richiedeva una intensa attenzione alle fasi del lavoro ed un’esperienza, che esse acquisivano solo quando avevano appreso, dopo tanti anni di osservazione, dalle laboriose mani delle loro madri. Anticamente poi, quando il grano mietuto nei campi non era portato direttamente al mulino, ma conservato nei granai di casa, la prima fase riguardava la setacciatura dei chicchi. Di buon mattino, prima che il gallo cantasse, la donna di casa si levava dal letto e preparava tutto l’occorrente per l’operazione della cottura.
Solo dopo aver setacciato la farina, preparava l’impasto con acqua tiepida e sale, il composto veniva quindi lavorato a lungo con mani aperte e con pugni, unendo poco alla volta “la lovatina”, il lievito.
Sotto le mani abili e veloci la pasta cominciava a prendere le forme e le proporzioni volute - frese o panelle- incidendo le ultime con dei segni a forma di croce.
Infine si preparava il forno: questo era costituito a volume di semicalotta ed era posto di norma nel sottotetto delle abitazioni o sulla scala che conduceva ad esso. Per il riscaldamento del forno si introducevano, nel cosiddetto “forniddo” ( piccola bocca laterale a quella principale di infornata), fascine e rami di legna secca.
La cottura durava qualche ora e il suo inizio era determinato da una particolare condizione di temperatura detta della “calata delle rose”cioè da un colore particolare che assumeva la calotta del forno dopo alcune ore di riscaldamento.
Con la lunga pala di legno, la donna “nfornava” i pani sistemandoli in modo distanziato tra di loro e “revutandoli” di tanto in tanto. A cottura ultimata si estraevano le panelle e le freselle e si riponevano nei panni di lana, affinché la loro conservazione potesse durare più settimane.
Per quanto riguarda altri mestieri femminili, le donne sapevano cardare e filare la lana, dimostrando destrezza nell’uso della rocca, del filatoio e dell’aspo e sapevano tessere la canapa e il lino, coltivati e lavorati in paese.
Dopo la raccolta, le fibre erano messe a macerare per circa 15 giorni, per eliminare le parti clorofilline della pianta, e ancora piuttosto umide venivano “manganati”, battute col mangano, per eliminare la consistenza legnosa e poi trattate col “cardo”, un pezzo di tavola con chiodi, su cui venivano pettinati i fascetti di lino o di canapa. La fibra raffinata veniva filata a mano con il fuso, ridotta a matasse prima e poi a gomitoli con il bindolo a aspo. I gomitoli venivano portati alle tessitrici che ne ricavavano “ i tuocchi”, stretti teli che cuciti insieme, formavano lenzuola grezze, “le banche”, grosse tovaglie colorate. I colori erano naturali, soprattutto era usato il molle della noce che dava un bel colore bruno.
L’esistenza di parecchi telai permetteva oltre la tessitura delle stoffe d’abbigliamento, anche quella di lenzuola, asciugamani, tovaglie, coperte: si trattava di stoffe rustiche, alle volte un po’ ruvide ma molto resistenti.
Pur non costituendo allora attività artigiana specifica, occorre ricordare le ricamatrici, che fiorivano in quasi tutte le famiglie della borghesia nascente integrando spesso il lavoro delle sarte; lavoravano in casa propria o venivano assoldate per un certo periodo, perché ricamassero con gusto e con estrema abilità, il corredo per le famiglie più ricche.
Sulle spalle della donna non gravava solo il peso dei lavori domestici, ma anche quello più pesante dei lavori nei campi. L’espressione tante volte presente , “nu tenghi tiempi ri mi grattà a capa”-“ non ho nemmeno il tempo di grattarmi la testa”- viene resa veritiera dai capitoli matrimoniali, in cui la zappa e la zappella erano gli immancabili accessori della dote. La costante presenza di questi attrezzi stava a significare che il suo destino, già prima ma soprattutto dopo il matrimonio, era strettamente legato al mondo dell’agricoltura, che per orario ed attività non faceva differenza tra mani maschili e femminili.
Pertanto la donna era sempre presente nella mietitura del grano, nella vendemmia a riempire i cesti di grappoli d’uva che venivano poi svuotati nei tini per essere pigiati, nella raccolta delle pannocchie di granone e nella raccolte delle olive, lavoro di quasi totale competenza delle donne che sin dall’estate si raccomandavano o si facevano raccomandare a grandi e piccoli proprietari affinché venissero comprese nei tanti gruppi delle raccoglitrici. Lavori duri, sofferti, amari, il più delle volte svolti con il freddo che toglieva il respiro, e se pur fiaccate dal lavoro e spinte dal freddo, a sera esse rientravano a casa, con passo fermo, deciso, quasi sospinte da in intimo orgoglio, come una sfida alla miseria.
Oggi la donna, cosciente delle proprie capacità e possibilità, non vive di illusioni né accetta forme di sottomissione; si è liberata dall’apatia che da secoli l’aveva oppressa, assumendo una ben definita personalità, libera di esprimersi in un preciso ruolo nella famiglia e nella società; per la dignità e l’autonomia acquisita, utilizzando le doti che le sono connaturali, è in condizione di affermarsi a pieno merito all’uomo in qualsiasi attività.